Non importa che tu capisca
effettivamente qualcosa di cinema oppure che tu (come il sottoscritto) ti
piaccia solo blaterarne a casaccio, mentre guardi Django Unchained lo sai che
sei lì, a guardare qualcosa che rimarrà nella storia. Vorresti strapparti le palpebre
per vedere di più, per lasciare che quella musa cicciona, isterica e strafatta
che di nome fa Quentin ti versi dentro le pupille più miele urticante ed
esplosivo di quello che già ti sta schizzando in faccia (pun intended).
In
altre parole, Django Unchained è Tarantino che eiacula sul pubblico pagante, e
lo fa fortissimo per tre ore, tirandoti per le orecchie e urlandoci dentro, e
alla fine ti piacerà anche se non pensavi. E hai pure pagato tu.
Se mai ci fossero stati dei dubbi
sul suo smisurato talento, sul suo coraggio, sulla sua meravigliosa faccia da
cazzo, ecco qua, parliamone adesso. Parliamone dopo che, nascosto per la
maggior parte del tempo dietro la macchina da presa (quando ci si mette davanti
invece lo devono inquadrare con l’IMAX eh), ti dirige questa specie di
all-star-game di attori giganteschi, che sembrano lì a fare la gara a chi più
ruba la scena, e riesce comunque a fare della sua regia un elemento fondante di
tutta l’esperienza. In Django Unchained c’è tutta l’America, quella bella che
ci piace tanto, con tutte le sue contraddizioni senza le quali non sarebbe lei.
Una terra immensa, pericolosa, bellissima, dove chiunque può fare quello che
vuole, se lo vuole davvero, dove le cose cambiano, magari lentamente, ma
cambiano davvero. In Django c’è anche tutta l’antologia del miglior cinema di
Tarantino, della sua capacità di girare sparatorie che sembrano dialoghi e
dialoghi che fanno più male delle sparatorie.
Per questo, le puttanate sullo spaghetti western che Tarantino tanto voleva fare da non riuscire proprio a
non farlo sono esattamente quello, puttanate. Django Unchained è un western
tanto quanto Il Cavaliere Oscuro è un gangster movie. No, esempio sbagliato, Il
Cavaliere Oscuro È un gangster movie, se non fosse per la scomoda e
occasionale apparizione del tizio vestito da pipistrello. Per rimanere in tema,
diciamo che Django è un western tanto quanto Inglorious Basterds è un film
storico sulla Shoah. Certo, ci sono le citazioni, tantissime e di cui
probabilmente ne ho colte lo zerovirgolauno percento, e ci sono le musiche, ma
questo è esattamente quello che Tarantino fa e ha sempre fatto, ossia
decostruire il dogma, prenderne i pezzetti, spararci sopra, dire parolacce
fortissimo, farli esplodere e poi ricomporli in un quadro fighissimo, e
raccontarti quello che lui ti vuole raccontare, mentre se la ride pisciando sul
dogma, e pensando a tutti quelli che poi diranno che è il regista della
citazione.
E poi potremmo anche dirci, a
bassa voce, che forse forse il film è un po’ troppo lungo, che c’è un’ultima
mezz’ora che si poteva magari tagliare, risolvendo le cose un po’ prima, che
alla fine ci si ripete un po’. E poi potremmo anche dirci che non ce ne frega
assolutamente niente, perché è tutto tanto bello che vorresti non finisse mai. Andate
a vederlo di corsa, poi chiamatemi e parliamone, che se c’è una cosa bella di
un film bello, denso, orgiastico, spettacolare, ubriacante come questo è che si
può parlarne fino alla morte, e già questo dovrebbe bastare a testimoniarne il
valore.
Condivido ogni parola, a parte che io la lunghezza non l'ho proprio sentita, tanto ero occupata a versare copiose lacrime davanti ad ogni scena dell'ennesimo capolavoro del mio ciccionissimo Quentin!
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