lunedì 8 novembre 2010

Inception - Un'analisi approfondita


Una semplice ricerca Google della chiave "Inception" è sufficiente a rendersi conto di quanto l’opera di Nolan abbia stuzzicato la fantasia e l’immaginazione del pubblico, dando vita a centinaia di interpretazioni, piccole riflessioni e nuove idee.
Da questo punto di vista, è molto curioso che un film che racconta di come si impianta un’idea nella testa di una persona qualunque, riesca a fare esattamente questo: l’Inception è al tempo stesso l’oggetto della messa in scena e l’effetto della visione. Dalla sala si esce, inevitabilmente, con la testa piena di nuove idee, e non può essere un caso. E’ solo uno dei molti livelli interpretativi della scatola cinese confezionata da Nolan.

- NB. La seguente trattazione contiene elementi della trama, dunque se ne sconsiglia caldamente la lettura a chiunque non avesse ancora visto il film. -
Basti pensare al concetto di Inception visto come metafora dell’arte cinematografica stessa, più volte analizzato nelle recensioni ed interpretazioni proposte sulla carta "ufficiale" ed amatoriale. Cobb regista, Ariadne sceneggiatrice, Saito produttore, il resto della squadra diviso tra tecnici ed attori, Fischer il pubblico. Pianificano il (film) sogno su una lavagna, lo previsualizzano tramite dei modellini, fanno dei sopralluoghi, e poi ciak, si parte, proprio come si fa ad Hollywood. Ecco un secondo livello interpretativo dell’opera.
Ma veniamo al vero succo di questa trattazione: la scena finale del film solleva inevitabilmente un gran numero di domande. La telecamera che si sposta dalla trottola pochi secondi prima di quella che dovrebbe essere la grande risposta finale suscita ogni volta mormorii di disappunto e sorrisi a metà. E’ un trucco? E’ mancanza di coraggio nel dare un vero finale all’opera? O è solo la scintilla per un ulteriore livello interpretativo? Perché Inception, e qui entriamo nella sfera del mio parere personale, è un sogno. Tutto un sogno. Niente avrebbe senso altrimenti, l’intera storia non starebbe in piedi. E gli indizi sono sparsi ovunque, in quel livello che per tutto il tempo crediamo essere la realtà. Si pensi ad esempio all’inseguimento a piedi tra le strade di Mombasa, durante il quale Cobb si infila tra due palazzi talmente stretti da intrappolarlo in una morsa, classica metafora e rappresentazione onirica del panico, dell’oppressione interna. O ancora al dialogo con il padre di Mal, che più volte intima a Cobb di svegliarsi, di uscire dal sogno, così come la moglie gli chiede se non gli pare un po’ strano che degli assassini senza nome lo inseguano su e giù per il globo, se non sia semplicemente una proiezione delle sue paure, filtrate in un sogno. Passiamo alla scena del suicidio di Mal, in cui la vediamo seduta sul davanzale di una camera d’albergo speculare a quella dove si trova Cobb. La rappresentazione della separazione tra i due è chiaramente metaforica, non avrebbe senso per lei trovarsi in un’altra stanza. Sempre parlando di Mal, sua era la trottola che Cobb ha eletto a proprio totem, che egli crede essere un’indicatore attendibile dello stato di sogno o realtà. Ma riflettendoci, dove abbiamo visto per tutto il tempo quella trottola? Nel sogno condiviso di Cobb e Mal. La trottola stessa non è mai esistita, è un costrutto, un elemento del sogno, e non ha senso che Cobb l’abbia con sé nella realtà. Perché la realtà, per tutto il tempo non ci viene mai mostrata. L’intera sequenza finale del film, senza transizioni tra un luogo e l’altro, senza una parola tra i membri della squadra che hanno vissuto un’esperienza così incredibile, con il padre di Mal che misteriosamente da Parigi si è teletrasportato a Los Angeles, con Saito che grazie ad una sola telefonata pulisce la fedina penale di Cobb, è chiaramente rappresentativa di uno stato di sogno, una sorta di catarsi indotta dopo un prolungato stato di ansia e sofferenza. Si potrebbe parlare anche dei personaggi comprimari, poco approfonditi, stilizzati: nessuno si fa domande, nessuno solleva particolari obiezioni, se non Ariadne, che peraltro ha accettato un lavoro palesemente illegale senza conoscerne minimamente i risvolti. Tutto è rarefatto, semplificato dalla mente di Cobb, che nel sogno salta i normali processi umani, già conoscendo le risposte alle domande che i costrutti del suo sogno di conseguenza non si pongono. Arriviamo quindi al dunque. Che quella trottola cada, oppure no, non ha alcuna importanza. Perché tutto il lungo e contorto viaggio è un percorso nel labirinto della mente di Cobb. Cosa l’abbia portato ad un sogno tanto articolato ed infine catartico possiamo solo immaginarlo. Nella realtà, quella che non vediamo e non vedremo mai, la moglie è davvero morta o l’ha solo lasciato? Ed i figli? Sono scappati, sono vivi? Lo stesso Cobb potrebbe essere molto più anziano di come lo vediamo nella pellicola. Ma tutto questo non ha importanza. Quello che conta è che tutto lo svolgimento altro non è, sempre a mio opinabile parere, che un sogno prodotto dalla mente di un uomo disperato, in cerca di una redenzione che può trovare solo nella propria testa, di una catarsi necessaria per continuare a vivere (o per morire in pace), e dunque possibile anche se tale solo all’interno di una lunga allucinazione.
E veniamo così al livello finale dell’analisi, prima che il calcio sincronizzato ci riporti alla superficie: Inception è un sogno, anzi è il sogno. E’ il sogno di Nolan, all’interno del quale veniamo trascinati proprio come Fischer, dal quale usciamo con la testa piena di idee che due ore e mezza prima non erano nostre, erano di qualcun altro, erano di Nolan. L’idea che per arrivare alla catarsi ed alla redenzione per gli errori commessi in quella che definiamo realtà, a volte sia sufficiente fare i conti con sé stessi, nella propria testa. Perdonarsi.
Questa è la magia di Inception. A chiamarlo action movie travestito da filosofeggiare, a chiamare in causa Matrix, Il Tredicesimo Piano e simili, si compie a mio parere un grosso errore. Nel lavoro di Nolan c’è molto di più di quanto le sparatorie e gli effetti speciali non suggeriscano. Perché, proprio come spiegato all’interno del film stesso, se si gioca troppo con gli elementi di un sogno, se si esagera, la mente sarà sempre meno disposta ad accettare l’idea che si vuole impiantare. Ecco perché Nolan per impiantare la sua nelle nostre menti utilizza un linguaggio apparentemente semplice ed alla portata di tutti.
Ecco il vero valore di Inception: in un contesto in cui tutto è metafora di tutto, in cui le chiavi di lettura sono moltissime, sono certo che future visioni mi suggeriranno nuovi livelli interpretativi oltre a quelli riassunti qui, e passeranno molti anni prima che un film mi faccia nuovamente riflettere a questi livelli.

4 commenti:

  1. Per uno che non dorme mai..ineccepibile analisi.

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  2. Condivido la tua " interpretazione " del finale.
    E' quasi certamente tutto un sogno, sintomatici moltissimi dialoghi, primo tra tutti, già all'inizio del film, quello con Saito, il quale dopo che Cobb è sceso dall'elicottero fa riferimento "all'atto di fede", atto di fede che Cobb chiese alla moglie nel loro "sogno".
    A conferma di tutto ciò la frase detta a Coob dal Chimico quando gli mostra tutti i dormienti..."dormono x essere svegliati...chi meglio di te potrebbe saperlo?"
    Fabio

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  3. Veramente eccezzionale, dopo aver riletto piu attentamente la tua straordinaria recensione mi sono andato a rivedere il film.

    e mi ci ritrovo proprio.
    ww THE VOICE

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  4. ...E allora come ti spieghi il mistero dell'anello nuziale di Cobb che appare durante i sogni e scompare nelle presunte scene reali?

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