Ho sempre pensato a David Cage
come a un game designer interessante, sebbene la sua abitudine a uscirsene con
giudizi talvolta molto netti e lapidari sull’industria dei videogiochi sia
quasi irritante, soprattutto data la sua carriera, sicuramente notevole ma non
tanto sopra la media da giustificare tale abitudine a pontificare.
Il palco del DICE 2013 l’ha visto, una volta di più, lanciarsi in un lungo discorso contenente una serie di punti, più che altro indicazioni, o consigli, per migliorare l’industria dei videogiochi. Alcune cose sono secondo me sensate, altre meno, a partire dal leitmotiv, ossia l'industria dei videogiochi afflitta da Sindrome di Peter Pan. Quanto segue è una mia analisi su questo discorso, con alcune possibili risposte ai singoli problemi evidenziati.
Il palco del DICE 2013 l’ha visto, una volta di più, lanciarsi in un lungo discorso contenente una serie di punti, più che altro indicazioni, o consigli, per migliorare l’industria dei videogiochi. Alcune cose sono secondo me sensate, altre meno, a partire dal leitmotiv, ossia l'industria dei videogiochi afflitta da Sindrome di Peter Pan. Quanto segue è una mia analisi su questo discorso, con alcune possibili risposte ai singoli problemi evidenziati.
![]() |
The Last of Us sembra offrire temi decisamente interessanti, e senza dubbio adulti |
Punto 2, cambiare i paradigmi, poi parafrasato con “la violenza non è
l’unica strada”. Anche qui, non ci vedo un pensiero particolarmente profondo o
interessante. La violenza, così come al cinema, è da sempre parte dell’intrattenimento.
Peraltro, non tutti i videogiochi sono necessariamente violenti. Soprattutto in
ambito indie gaming e distribuzione digitale ci sono moltissimi giochi di
grande valore che basano il loro appeal su fattori che con la violenza hanno
ben poco a che fare. E, peraltro, mi sembra un consiglio un po’ azzardato,
quando proviene da un game designer i cui giochi sono piuttosto violenti, pur
senza mostrare scene necessariamente cruente.
Punto 3, l’importanza del significato. Cage ha fatto seguito affermando che
moltissimi videogiochi non hanno alcun significato, non lasciano niente dietro
di sé. Anche qui, sono perplesso. Guardiamo ad altre forme d’intrattenimento
ben più anziane, letteratura (in questo caso teniamo in conto esclusivamente la
fiction, s’intende) e cinema. Di certo, non tutti i film e libri hanno
necessariamente un significato profondo, nemmeno quelli che fanno bene il loro
lavoro, ossia intrattenere. E va benissimo così.Che profondo significato
dovrebbe avere The Avengers? Il Cavaliere Oscuro? Harry Potter? Mi sembra che
ci sia un po’ di confusione su cosa siano effettivamente i videogiochi e su
quale sia il loro scopo. Stiamo pur sempre parlando di intrattenimento. Poi, se
un game designer particolarmente ispirato si trova a creare un’opera che, a
fianco dell’intrattenimento, riesce a comunicare un messaggio, a lasciare
qualcosa dietro di sé, a far riflettere il giocatore, ben venga (e non che gli
esempi, già sino ad oggi, siano mancati). Ma non mi sembra la condizione si ne
qua non perché il futuro dell’industria sia comunque valido.
Poi fa seguito un discorso,
secondo me molto delicato, sulla sceneggiatura. Cage afferma che molti giochi
presentano storie risibili, in quanto scritte da sceneggiatori improvvisati.
Qui si apre una dissertazione molto ampia. Innanzitutto, il fatto che i
videogiochi debbano sempre e comunque presentare sceneggiature elaborate è
secondo me oggetto di discussione. Occorre prima fare una debita distinzione
tra i vari generi di videogioco esistenti, alcuni più sensibili al discorso
sceneggiatura, altri meno. Non bisogna dimenticarsi che un videogioco non si
basa sulla storia, intesa come “personaggio che vive un’esperienza e si
trasforma nel corso di essa” (una definizione limitante, d’accordo, ma pur
sempre valida in molti casi), ma si fonda semmai sulle circostanze. La dinamica
del videogioco, la netta immedesimazione del giocatore nel personaggio
principale (che tramite l’interattività diventa più profonda di quella offerta
da qualsiasi altra forma d’intrattenimento) rende quasi impossibile elaborare
sceneggiature che si rifacciano a quelle proposte da film e libri. La necessità
di inframmezzare ai momenti narrativi sequenze ludiche “rompe” il ritmo
regolare di una sceneggiatura, dunque assumere sceneggiatori affermati, che da
sempre scrivono storie dedicate ad altre forme d’intrattenimento, non
rappresenta una soluzione.
![]() |
La sceneggiatura di Crysis 2 è stata scritta da un professionista, ma questo non ne ha migliorato la qualità |
Questo non significa che non si possa
fare di meglio. Gli scaffali sono evidentemente pieni di giochi che, seppur
dotati di una trama, coinvolgono davvero poco dal punto di vista narrativo.
Recentemente sto rigiocando Crysis 2, un gioco che tenta di mettere in mezzo un
abbozzo di trama, con risultati quasi imbarazzanti. E, curiosamente, proprio la
trama di Crysis 2 è stata curata da uno scrittore discretamente famoso negli
USA (l’autore di Altered Carbon, romanzo scifi piuttosto noto), a dimostrare
che non sempre un professionista rappresenta la soluzione al problema. Non basta
assumere uno sceneggiatore, né ispirarsi alle sceneggiature hollywoodiane. I
videogiochi hanno bisogno di storie scritte appositamente, dotate di un ritmo
che sappia piegarsi alle necessità dettate dall’interattività.
Infine, facendo di questo il punto evidentemente più sentito del discorso, Cage aggiunge che i videogiochi dovrebbero attingere più dalla vita reale, invece che proporre mondi di fantasia. Qui mi trovo totalmente in disaccordo. Ci sono videogame che attingono dall'una e dall'altra fonte, e la pura fantasia non rappresenta un ostacolo, né un problema, alla rilevanza o alla serietà dei temi trattati.
Infine, facendo di questo il punto evidentemente più sentito del discorso, Cage aggiunge che i videogiochi dovrebbero attingere più dalla vita reale, invece che proporre mondi di fantasia. Qui mi trovo totalmente in disaccordo. Ci sono videogame che attingono dall'una e dall'altra fonte, e la pura fantasia non rappresenta un ostacolo, né un problema, alla rilevanza o alla serietà dei temi trattati.
Punto 4, diventare più accessibili, cui Cage fa seguito dicendo che
bisognerebbe guardare più alle menti dei giocatori, che alla loro abilità con
le dita. E anche qui, c’è molto da dire. La diversificazione è fondamentale.È
giustissimo che ci siano giochi in grado di richiedere un’interazione diversa
dallo schiacciatasti, così come è fondamentale che vi siano sempre altrettante
produzioni che richiedano abilità.Demon’s e Dark Souls, a suo modo il
multigiocatore di Call of Duty, i MOBA e molte altre produzioni fortemente
competitive e che richiedono allenamento e concentrazione sono un’espressione
importante del videogioco come media d’intrattenimento, e non meritano
assolutamente di essere viste come “giochi da bambini”. Poi, a lato, c’è un
prodotto come Journey, che non richiede alcun impegno, e affascina con la
semplicità dei suoi tratti enigmatici. Diversificazione, appunto.Ma non cerchiamo
di trasformare TUTTI i videogiochi in “viaggi” che non richiedono alcun impegno
da parte di chi li gioca.
Punto 5, lavorare con talenti provenienti da altri media, con esempi,
portati dallo stesso Cage, quali David Bowie (che ha partecipato in un piccolo
ruolo a Omikron: The Nomad Soul) e Ellen Page (l’attrice di Inception, che
presta volto e movenze alla protagonista del suo nuovo gioco, Beyond: Two
Souls). Secondo il game designer francese, persone estranee al media del
videogioco, ma comunque esperte di intrattenimento, possono offrire nuovi punti
di vista. Questo è effettivamente un pensiero che condivido. Per quanto non si
tratti di un arricchimento necessario a tutti i generi e non sia sempre facile
da mettere in atto, è senza dubbio un’idea che potrebbe portare ad
un’evoluzione interessante in molti ambiti, a patto che a reggere le redini del progetto ci siano dei creativi dedicati al videogame, e non provenienti da altri media.
Punto 6, coinvolgere maggiormente Hollywood, al fine di creare una nuova
forma d’intrattenimento. Anche qui, la cosa vale solo per certi generi, e non
rappresenta necessariamente un passo avanti per il videogioco. A dire il vero,
con quest’ultima generazione, alcuni sviluppatori si sono dimostrati molto
abili nel proporre sequenze e archetipi tipicamente hollywoodiani (vedasi
Naughty Dog e la saga di Uncharted).
![]() |
La saga di Uncharted ha dimostrato che per creare validi giochi cinematografici non è necessario coinvolgere direttamente esponenti dell'industria hollywoodiana. |
Punto 7, relazionarsi in modo differente con la censura. Qui Cage fa
seguito, dicendo che sebbene abbia sempre scritto storie con riferimenti alla
violenza e al sesso, “ora ha qualcuno che lo consiglia e lo controlla in tal
senso”. Aggiunge inoltre che molti giochi che ha visto presso lo scorso E3
l’hanno sconvolto per il livello di violenza mostrato. Qui sono un po’
perplesso. La violenza è sempre un tema delicato, ma, per ogni gioco violento,
ce n’è un altro che non lo è. Il discorso, secondo me, non è da concentrare sulla
censura (la sola parola è nemica di qualunque forma di cultura) ma sulla
sensibilizzazione delle famiglie. Come ripetuto infinite volte, i genitori
devono finirla di trincerarsi dietro la loro scarsa familiarità con i
videogiochi e conseguente incapacità di scegliere quelli giusti per i loro
figli. Dietro la copertina di ogni gioco in commercio c’è non solo l’età
consigliata, ma anche chiarissime ed esplicite indicazioni sui contenuti che
potrebbero non essere adatti ai più giovani, dal linguaggio scurrile ai
riferimenti al sesso. Non ci si può più nascondere dietro la presunta natura
criptica di queste indicazioni. E soprattutto, non si può parlare di “giochi
per adulti” e di “censura” nello stesso discorso, o si rischia fortemente di
contraddirsi.
Punto 8, il ruolo della stampa. Cage traccia una linea di demarcazione tra
la stampa utile e intelligente, ossia quella che analizza, critica e informa, e
quella che si limita ad assegnare un voto. Condanna la seconda, e io ci sto. La
prima può migliorare l’industria, la seconda serve solo a gonfiare i forum,
senza guadagno per nessuno.
Punto 9, l’importanza dei giocatori. E qui Cage dice qualcosa di molto
interessante, ossia che ad avere in mano il destino dell’industria sono proprio
i gamer. Sono loro che comprando un gioco in massa lo trasformano in una saga
decennale. Oppure ne affondano completamente un altro, lasciandolo sugli
scaffali. O ancora si lamentano della qualità di un gioco, dopo averlo
scaricato illegalmente. Insomma, comprate quello che volete, comprate quello
che vi piace, e soprattutto sostenete le cose alle quali volete garantire un
seguito. Sembra un discorso scontato, ma non lo è.
Cage conclude affermando che il
media del videogioco dovrebbe trasformarsi in “intrattenimento digitale, accessibile
a tutti, aperto a tutti i temi e generi, in grado di raccontare cose su noi
stessi, esseri umani e società, in maniera intelligente. E dovrebbe basarsi sul
viaggio, non sulla sfida”. Come già spiegato nei singoli punti, sono d’accordo
solo in parte. Alcuni generi di videogioco dovrebbero avere queste
caratteristiche, ma una forma di videogioco “classica”, ossia pronta ad offrire
sfide, non dovrà mai mancare sugli scaffali (e dubito mancherà mai). Soprattutto, più in generale, quest'ultima generazione ha visto il media del videogioco maturare, diversificarsi e responsabilizzarsi in maniera notevole ed esponenziale. Non si può pretendere che tutto cambi dall'oggi al domani. La maturazione è in atto, e Hollywood, il più delle volte, andrebbe lasciata ad occuparsi del suo media, mentre i videogame si evolvono secondo la loro natura, intrinsecamente diversa da quella cinematografica, e dunque bisognosa di creativi ad essa interamente dedicati.
Bella analisi.
RispondiEliminaPersonalmente apprezzo tantissimo il lavoro di Cage ma anche secondo me troppo spesso se ne esce con considerazioni da illuminato che sono in realtà abbastanza scontate e fuori posto. Anche perché tutto quello che lui ha descritto esiste già.
Ben vengano le incursioni di personalità Hollywoodiane però, che magari tra un'Ellen Page e un J.J. Abrams prima o poi il resto del mondo guarderà ai videogiochi con gli stessi occhi con cui guarda le pellicole cinematografiche. Fingers crossed.