domenica 1 novembre 2009

Il simbolo perduto - Recensione


Ho preso il nuovo libro di Dan Brown abbastanza convinto di ritrovarci qualcosa di simile al Codice da Vinci, che per inciso al tempo non mi era affatto spiaciuto: un intreccio tutto sommato originale, riferimenti ad opere d'arte conosciutissime riviste in una chiave fittizia ma in qualche modo credibile nel contesto di una fiction fintamente colta, ma nondimeno divertente.
Purtroppo l'ultima fatica dello scrittore del New Hampshire è un goffo tentativo di rimescolare i clichè che hanno fatto la sua fortuna, senza però quell'entusiasmo e quella base di ricerca che rendevano il Codice un ottimo thriller.
In questa nuova avventura Robert Langdon si trova immischiato in una confusa vicenda che coinvolge la Massoneria e la CIA, che potrebbe essere così riassunta: il celebre professore di simbologia si trova casualmente nei paraggi quando in un famoso luogo pubblico un suo vecchio amico viene rapito, e rischia di essere ucciso a meno che non si risolvano una certa serie di enigmi. Al suo fianco troverà una donna, e diversi personaggi di spicco della Massoneria disposti ad aiutarlo, mentre si trova braccato da un misterioso assassino dedito a pratiche esoteriche, e dalla direttrice della CIA in persona. Cambiando qualche nome, e spostando la vicenda da Washington a Parigi, risulta chiarissimo come "Lost Symbol" sia semplicemente una fotocopia mal fatta del "Codice". A renderlo scadente sono i personaggi, bidimensionali, poco approfonditi e banali, e l'intreccio, che cerca di salvarsi solo con qualche telefonatissimo colpo di scena. Confrontare Inoue Sato (la direttrice della CIA) con Bezu "il Toro" Fache (il coriaceo poliziotto che dava la caccia a Langdon nel "Codice") porta a risultati davvero impietosi, e questo vale per la maggior parte dei personaggi. Lo stesso Langdon, capace di geniali intuizioni nel "Codice", si presenta in quest'avventura stanco ed appannato, incapace di reagire, si lascia semplicemente guidare da illuminazioni fornite quà e là da diversi comprimari. Le ultime 30 pagine sono indubbiamente le peggiori di tutto il libro, con una rivelazione finale completamente scollegata dal resto della vicenda, e di conseguenza del tutto inutile.
Dopo anni di attesa era lecito aspettarsi molto di più per il ritorno di Langdon, un personaggio a cui tutto sommato mi sono affezionato. E' senza dubbio la prova che il buon intreccio del Codice è stato frutto di una buona dose di fortuna, e che Dan Brown è davvero uno scrittore mediocre.

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