giovedì 7 febbraio 2013

Il futuro dell'industria del videogame, David Cage e qualche considerazione


Ho sempre pensato a David Cage come a un game designer interessante, sebbene la sua abitudine a uscirsene con giudizi talvolta molto netti e lapidari sull’industria dei videogiochi sia quasi irritante, soprattutto data la sua carriera, sicuramente notevole ma non tanto sopra la media da giustificare tale abitudine a pontificare.
Il palco del DICE 2013 l’ha visto, una volta di più, lanciarsi in un lungo discorso contenente una serie di punti, più che altro indicazioni, o consigli, per migliorare l’industria dei videogiochi. Alcune cose sono secondo me sensate, altre meno, a partire dal leitmotiv, ossia l'industria dei videogiochi afflitta da Sindrome di Peter Pan. Quanto segue è una mia analisi su questo discorso, con alcune possibili risposte ai singoli problemi evidenziati.

Punto 1, creare giochi per ogni tipo di pubblico. Punto al quale Cage ha fatto seguito affermando che è tempo che l’industria crei prodotti adatti a un pubblico adulto. Ora, si tratta di un punto di vista in parte condivisibile, ma, appunto, in parte. Innanzitutto, la prima parte è in contraddizione con la seconda: se si crea una maggioranza di contenuti per adulti, automaticamente si esclude una grande parte dell’audience. Secondo me, il punto del discorso è che l’industria deve continuare a rispondere alle esigenze di ogni tipo possibile di clientela (anche perché, volendo guardare ai numeri, allargare il bacino d’utenza significa guadagnare di più), ma non con ogni singolo prodotto, semmai con le intere line up, popolate di titoli tra loro diversi, che vadano dallo sportivo, al casual, al prodotto per gamer appassionati. E questo, evidentemente, con l’ultima generazione è già successo. Abbiamo avuto una diversificazione senza precedenti nel mercato dei videogame (grazie anche allo straordinario apporto di Nintendo, che ha portato una console dove pochi anni prima non avrebbe mai potuto trovare posto, e in seconda battuta di iOS e Android, con la loro rivoluzione del mobile gaming a basso costo), che ha sdoganato il videogioco come forma d’intrattenimento “per tutti”. Quindi, qui mr. Cage mi scade un po’ sul mr. Ovvio. Sta già succedendo. Quanto ai giochi “per adulti”, non mi pare siano mancati nell’ultima generazione (mi vengono in mente L.A. Noire, The Walking Dead di Telltale, Dishonored, ma ce ne sono molti altri) e non mi pare manchino in futuro (Bioshock Infinite, The Last of Us, Remember Me). Ancora, sta già succedendo.
The Last of Us sembra offrire temi decisamente interessanti, e senza dubbio adulti

Punto 2, cambiare i paradigmi, poi parafrasato con “la violenza non è l’unica strada”. Anche qui, non ci vedo un pensiero particolarmente profondo o interessante. La violenza, così come al cinema, è da sempre parte dell’intrattenimento. Peraltro, non tutti i videogiochi sono necessariamente violenti. Soprattutto in ambito indie gaming e distribuzione digitale ci sono moltissimi giochi di grande valore che basano il loro appeal su fattori che con la violenza hanno ben poco a che fare. E, peraltro, mi sembra un consiglio un po’ azzardato, quando proviene da un game designer i cui giochi sono piuttosto violenti, pur senza mostrare scene necessariamente cruente.

Punto 3, l’importanza del significato. Cage ha fatto seguito affermando che moltissimi videogiochi non hanno alcun significato, non lasciano niente dietro di sé. Anche qui, sono perplesso. Guardiamo ad altre forme d’intrattenimento ben più anziane, letteratura (in questo caso teniamo in conto esclusivamente la fiction, s’intende) e cinema. Di certo, non tutti i film e libri hanno necessariamente un significato profondo, nemmeno quelli che fanno bene il loro lavoro, ossia intrattenere. E va benissimo così.Che profondo significato dovrebbe avere The Avengers? Il Cavaliere Oscuro? Harry Potter? Mi sembra che ci sia un po’ di confusione su cosa siano effettivamente i videogiochi e su quale sia il loro scopo. Stiamo pur sempre parlando di intrattenimento. Poi, se un game designer particolarmente ispirato si trova a creare un’opera che, a fianco dell’intrattenimento, riesce a comunicare un messaggio, a lasciare qualcosa dietro di sé, a far riflettere il giocatore, ben venga (e non che gli esempi, già sino ad oggi, siano mancati). Ma non mi sembra la condizione si ne qua non perché il futuro dell’industria sia comunque valido.
Poi fa seguito un discorso, secondo me molto delicato, sulla sceneggiatura. Cage afferma che molti giochi presentano storie risibili, in quanto scritte da sceneggiatori improvvisati. Qui si apre una dissertazione molto ampia. Innanzitutto, il fatto che i videogiochi debbano sempre e comunque presentare sceneggiature elaborate è secondo me oggetto di discussione. Occorre prima fare una debita distinzione tra i vari generi di videogioco esistenti, alcuni più sensibili al discorso sceneggiatura, altri meno. Non bisogna dimenticarsi che un videogioco non si basa sulla storia, intesa come “personaggio che vive un’esperienza e si trasforma nel corso di essa” (una definizione limitante, d’accordo, ma pur sempre valida in molti casi), ma si fonda semmai sulle circostanze. La dinamica del videogioco, la netta immedesimazione del giocatore nel personaggio principale (che tramite l’interattività diventa più profonda di quella offerta da qualsiasi altra forma d’intrattenimento) rende quasi impossibile elaborare sceneggiature che si rifacciano a quelle proposte da film e libri. La necessità di inframmezzare ai momenti narrativi sequenze ludiche “rompe” il ritmo regolare di una sceneggiatura, dunque assumere sceneggiatori affermati, che da sempre scrivono storie dedicate ad altre forme d’intrattenimento, non rappresenta una soluzione.
La sceneggiatura di Crysis 2 è stata scritta da un professionista, ma questo non ne ha migliorato la qualità
Questo non significa che non si possa fare di meglio. Gli scaffali sono evidentemente pieni di giochi che, seppur dotati di una trama, coinvolgono davvero poco dal punto di vista narrativo. Recentemente sto rigiocando Crysis 2, un gioco che tenta di mettere in mezzo un abbozzo di trama, con risultati quasi imbarazzanti. E, curiosamente, proprio la trama di Crysis 2 è stata curata da uno scrittore discretamente famoso negli USA (l’autore di Altered Carbon, romanzo scifi piuttosto noto), a dimostrare che non sempre un professionista rappresenta la soluzione al problema. Non basta assumere uno sceneggiatore, né ispirarsi alle sceneggiature hollywoodiane. I videogiochi hanno bisogno di storie scritte appositamente, dotate di un ritmo che sappia piegarsi alle necessità dettate dall’interattività.
Infine, facendo di questo il punto evidentemente più sentito del discorso, Cage aggiunge che i videogiochi dovrebbero attingere più dalla vita reale, invece che proporre mondi di fantasia. Qui mi trovo totalmente in disaccordo. Ci sono videogame che attingono dall'una e dall'altra fonte, e la pura fantasia non rappresenta un ostacolo, né un problema, alla rilevanza o alla serietà dei temi trattati.

Punto 4, diventare più accessibili, cui Cage fa seguito dicendo che bisognerebbe guardare più alle menti dei giocatori, che alla loro abilità con le dita. E anche qui, c’è molto da dire. La diversificazione è fondamentale.È giustissimo che ci siano giochi in grado di richiedere un’interazione diversa dallo schiacciatasti, così come è fondamentale che vi siano sempre altrettante produzioni che richiedano abilità.Demon’s e Dark Souls, a suo modo il multigiocatore di Call of Duty, i MOBA e molte altre produzioni fortemente competitive e che richiedono allenamento e concentrazione sono un’espressione importante del videogioco come media d’intrattenimento, e non meritano assolutamente di essere viste come “giochi da bambini”. Poi, a lato, c’è un prodotto come Journey, che non richiede alcun impegno, e affascina con la semplicità dei suoi tratti enigmatici. Diversificazione, appunto.Ma non cerchiamo di trasformare TUTTI i videogiochi in “viaggi” che non richiedono alcun impegno da parte di chi li gioca.

Punto 5, lavorare con talenti provenienti da altri media, con esempi, portati dallo stesso Cage, quali David Bowie (che ha partecipato in un piccolo ruolo a Omikron: The Nomad Soul) e Ellen Page (l’attrice di Inception, che presta volto e movenze alla protagonista del suo nuovo gioco, Beyond: Two Souls). Secondo il game designer francese, persone estranee al media del videogioco, ma comunque esperte di intrattenimento, possono offrire nuovi punti di vista. Questo è effettivamente un pensiero che condivido. Per quanto non si tratti di un arricchimento necessario a tutti i generi e non sia sempre facile da mettere in atto, è senza dubbio un’idea che potrebbe portare ad un’evoluzione interessante in molti ambiti, a patto che a reggere le redini del progetto ci siano dei creativi dedicati al videogame, e non provenienti da altri media.

Punto 6, coinvolgere maggiormente Hollywood, al fine di creare una nuova forma d’intrattenimento. Anche qui, la cosa vale solo per certi generi, e non rappresenta necessariamente un passo avanti per il videogioco. A dire il vero, con quest’ultima generazione, alcuni sviluppatori si sono dimostrati molto abili nel proporre sequenze e archetipi tipicamente hollywoodiani (vedasi Naughty Dog e la saga di Uncharted).
La saga di Uncharted ha dimostrato che per creare validi giochi cinematografici non è necessario coinvolgere direttamente esponenti dell'industria hollywoodiana.

Punto 7, relazionarsi in modo differente con la censura. Qui Cage fa seguito, dicendo che sebbene abbia sempre scritto storie con riferimenti alla violenza e al sesso, “ora ha qualcuno che lo consiglia e lo controlla in tal senso”. Aggiunge inoltre che molti giochi che ha visto presso lo scorso E3 l’hanno sconvolto per il livello di violenza mostrato. Qui sono un po’ perplesso. La violenza è sempre un tema delicato, ma, per ogni gioco violento, ce n’è un altro che non lo è. Il discorso, secondo me, non è da concentrare sulla censura (la sola parola è nemica di qualunque forma di cultura) ma sulla sensibilizzazione delle famiglie. Come ripetuto infinite volte, i genitori devono finirla di trincerarsi dietro la loro scarsa familiarità con i videogiochi e conseguente incapacità di scegliere quelli giusti per i loro figli. Dietro la copertina di ogni gioco in commercio c’è non solo l’età consigliata, ma anche chiarissime ed esplicite indicazioni sui contenuti che potrebbero non essere adatti ai più giovani, dal linguaggio scurrile ai riferimenti al sesso. Non ci si può più nascondere dietro la presunta natura criptica di queste indicazioni. E soprattutto, non si può parlare di “giochi per adulti” e di “censura” nello stesso discorso, o si rischia fortemente di contraddirsi.

Punto 8, il ruolo della stampa. Cage traccia una linea di demarcazione tra la stampa utile e intelligente, ossia quella che analizza, critica e informa, e quella che si limita ad assegnare un voto. Condanna la seconda, e io ci sto. La prima può migliorare l’industria, la seconda serve solo a gonfiare i forum, senza guadagno per nessuno.

Punto 9, l’importanza dei giocatori. E qui Cage dice qualcosa di molto interessante, ossia che ad avere in mano il destino dell’industria sono proprio i gamer. Sono loro che comprando un gioco in massa lo trasformano in una saga decennale. Oppure ne affondano completamente un altro, lasciandolo sugli scaffali. O ancora si lamentano della qualità di un gioco, dopo averlo scaricato illegalmente. Insomma, comprate quello che volete, comprate quello che vi piace, e soprattutto sostenete le cose alle quali volete garantire un seguito. Sembra un discorso scontato, ma non lo è.

Cage conclude affermando che il media del videogioco dovrebbe trasformarsi in “intrattenimento digitale, accessibile a tutti, aperto a tutti i temi e generi, in grado di raccontare cose su noi stessi, esseri umani e società, in maniera intelligente. E dovrebbe basarsi sul viaggio, non sulla sfida”. Come già spiegato nei singoli punti, sono d’accordo solo in parte. Alcuni generi di videogioco dovrebbero avere queste caratteristiche, ma una forma di videogioco “classica”, ossia pronta ad offrire sfide, non dovrà mai mancare sugli scaffali (e dubito mancherà mai). Soprattutto, più in generale, quest'ultima generazione ha visto il media del videogioco maturare, diversificarsi e responsabilizzarsi in maniera notevole ed esponenziale. Non si può pretendere che tutto cambi dall'oggi al domani. La maturazione è in atto, e Hollywood, il più delle volte, andrebbe lasciata ad occuparsi del suo media, mentre i videogame si evolvono secondo la loro natura, intrinsecamente diversa da quella cinematografica, e dunque bisognosa di creativi ad essa interamente dedicati.

1 commento:

  1. Bella analisi.
    Personalmente apprezzo tantissimo il lavoro di Cage ma anche secondo me troppo spesso se ne esce con considerazioni da illuminato che sono in realtà abbastanza scontate e fuori posto. Anche perché tutto quello che lui ha descritto esiste già.

    Ben vengano le incursioni di personalità Hollywoodiane però, che magari tra un'Ellen Page e un J.J. Abrams prima o poi il resto del mondo guarderà ai videogiochi con gli stessi occhi con cui guarda le pellicole cinematografiche. Fingers crossed.

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