giovedì 26 gennaio 2012

Alcatraz Recensione - Puntate 1,2,3

Alcatraz si è fatto desiderare, forse fin troppo. All'alba delle prime tre puntate, lo show non ha ancora trovato la sua vena, mostrando una sceneggiatura settata sull'autopilota, pochi "misteri" che suscitino voglia di vedere la successiva puntata, scarsa attitudine al cliffhanger e una trama nel complesso traballante.

La sua firma appare solo nel ruolo di produttore, eppure Alcatraz porta i tratti distintivi della TV secondo J.J. Abrams. Flashback, flashforward, lievi elementi soprannaturali (o fantascientifici che dir si voglia), personaggi che nascondono, più o meno tutti, segreti nel loro passato. A chi si aspettasse un nuovo Lost, è il caso di dirlo subito, Alcatraz difficilmente piacerà: confrontato con l'eccezionale esordio della serie dell'Isola (della quale, è bene precisarlo, sono stato fan solo per le prime due stagioni), le due ore di pilot ne escono abbondantemente massacrate. La noia rimane dietro l'angolo per tutto il tempo, sin dai primissimi minuti. Il ritmo è moscio, le "sorprese" si intuiscono regolarmente diversi minuti prima che facciano capolino a schermo. Si salvano due personaggi, tralasciando la protagonista Rebecca Madsen, piuttosto odiosa, inutile e poco credibile (soprattutto nei coinvolgimenti emotivi che dovrebbero spingerla ad agire): Jorge "Soto" Garcia e Sam "Hauser" Neill si identificano, sin dalla prima puntata, come l'unica buona ragione per seguire lo show. 
Il principale problema della sceneggiatura è l'aderenza a un preciso clichè che non fa nulla per nascondersi: ad ogni nuova puntata un detenuto di Alcatraz (che, secondo la trama, nel '63 non è stata semplicemente chiusa, ma ha visto la misteriosa sparizione di tutti i suoi "ospiti") ricompare nel presente, per nulla invecchiato e solitamente incline a riprendere le vecchie abitudini, si tratti di serial killing o rapimenti di minori. I due protagonisti Soto e Madsen, reclutati da un misterioso agente dell'FBI (Sam "Hauser" Neill) in qualità rispettivamente di studioso della storia della prigione e agente della polizia di San Francisco, gli danno la caccia, disobbediscono a qualunque ordine venga loro impartito e catturano il fuggitivo. Seguono cinque minuti conclusivi in cui si scopre che Hauser in realtà la sa molto più lunga di quanto vorrebbe far credere quanto alla sparizione dei detenuti. 
Le prime tre puntate seguono alla lettera questo modello, e c'è da credere che l'intera prima stagione sia stata ideata per proseguire su questa falsariga. La prevedibilità è un cancro, soprattutto per una serie che basa sul mistero e sui quesiti irrisolti tutto il suo fascino.
Se ripenso alle prime puntate di Fringe, altra serie firmata Abrams alla quale mi sono (col tempo) affezionato, ricordo la medesima frustrazione: solo verso la metà della prima stagione la serie ha trovato un buon ritmo e ha cominciato ad appassionarmi davvero.
Alcatraz qualche buono spunto ce l'ha, e soprattutto nel cast ci sarebbero occasioni per farsi seguire con passione dal pubblico. Un consiglio? Date a Sam Neill qualcosa di meglio da fare che lamentarsi per tutto e comparire una volta a puntata, lasciate più spazio a Jorge Garcia (nel terzo episodio un tentativo c'è stato, e non a caso ha funzionato), abbandonate il terribile clichè e date più spazio alla backstory.
Dita incrociate.


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